Quando l’odio (come il clima) surriscalda la ragione e raffredda il cuore.
Sebbene la signora Elvira Zanrosso sia stata
(sbrigativamente e semplicisticamente) definita dai giornali come la “nonna hater”,
la sua non è una storia da “Arsenico e vecchi merletti”. È sotto processo al
tribunale di Palermo, accusata insieme ad altre 30 persone di vilipendio al
capo dello Stato per le offese scritte sui social: minacce di morte - neanche
troppo velate - in riferimento all’omicidio del fratello Piersanti. E in che
occasione poi? Post e commenti scritti dopo che Mattarella aveva (avrebbe)
rifiutato Paolo Savona al ministero dell’economia. E, ancora, che cosa c’entra
la Zanrosso con Paolo Savona? Perché una signora bene della borghesia bolognese
era così dispiaciuta di questa “mancata nomina”, tanto da andare su tutte le
furie e postare pubblicamente insulti sul Web? Davanti al magistrato ha
risposto che lo ha fatto senza pensarci (questo è banale, dicono tutti così) ma
ha aggiunto due cose interessanti: la prima è quella di riconoscersi, a sua
volta, come “vittima”. Di cosa? Del clima di odio instauratosi in quei giorni
nei confronti del capo dello Stato. Non occorre ricordare chi lo avesse
fomentato, non è questo che ci interessa ora. La seconda cosa singolare detta
dalla Zanrosso è la seguente: “Alla mia
età ho capito veramente che cos’è la gogna mediatica”.
Già, la gogna
mediatica. Perché ancora prima che partisse il processo (quello vero) la
signora Elvira è stata additata nel Web, centinaia o migliaia di volte, come
una persona spregevole, senza rispetto. Sulle stesse identiche piattaforme sulle
quali anche lei aveva partecipato attivamente ad un’altra gogna mediatica,
quella nei confronti del capo dello Stato. E allora una prima considerazione:
entrambe le cose dichiarate dalla signora Zanrosso sono vere. C’è stato un
clima di odio nei confronti del capo dello Stato così come c’è un clima di odio
ancora oggi nei confronti degli ebrei, dei migranti, dei rifugiati, dei rom,
degli omosessuali e di chi vive per difenderli. Esiste qualcuno che lavora
attivamente per fomentarlo (ho scritto lavora perché spesso è proprio pagato
per farlo) e le gogne mediatiche sono uno degli strumenti ancestrali attraverso
cui il risentimento viene incanalato nei confronti di una persona o di una
pretesa categoria di persone. È il potere della folla, che nei social sparla e
negli stadi ulula, folla che sembra premiare proprio chi ne fomenta gli istinti
peggiori, salvo poi, imprevedibilmente, chiederne la testa cinque minuti dopo.
E allora la signora Zanrosso e la
senatrice Segre hanno tanto in comune. La gogna mediatica, coloro che gettano
benzina sul fuoco pur di veder divampare l’incendio e, soprattutto “lui”, il
clima di odio e intolleranza che inquina il dibattito pubblico, annebbia la
ragione e atrofizza i cuori.
Potremmo chiuderla così. A ben vedere
però, al costo di dilungarsi un po’ a beneficio di coloro che avranno avuto la
pazienza di leggere sin qui, è giunto il momento di dire come, sulla questione
del cosiddetto odio online sia necessario qualche chiarimento ulteriore.
Apriamo la finestra, facciamo uscire per una volta le semplificazioni e usiamo,
solo la ragione (che il cuore servirà più avanti). Per prima cosa, quando si
parla di “folla”, il binomio vittima/carnefice non regge. Così come non regge
l’esigenza di avere per forza “leggi speciali” o “nuove leggi” per contrastare
il cosiddetto hate speech (il discorso d’odio online), le fake news
(la disinformazione) o l’anonimato in rete (la folla al primo sguardo è sempre
anonima).
Il dispositivo, come si dice in gergo, ovvero la legge che
presumibilmente provvederà delle sanzioni nei confronti della signora Zanrosso per
il reato di vilipendio è roba vecchia, risale al codice Rocco. Eppure, è
applicabile anche al Web. Come? Basta volerlo e trovare qualcuno che lo faccia.
Sono ancora pochi, troppo pochi, coloro che denunciano e portano nelle aule di
tribunale chi si macchia di commenti e frasi ignobili (e illegali), come quelle
che leggiamo ogni volta che una nave di migranti affonda nel Mediterraneo (e le
vittime non possono più farlo). Ecco che per rendere efficienti ed efficaci le
norme che puniscono il reato di diffusione e istigazione dell’odio razziale servirebbe,
piuttosto, una “risistemata” (passatemi il termine) alle leggi attuali (c.d.
legge “Mancino”, legge “Reale”, ecc..)
che renda chiaro e limpido a tutti cosa dice il nostro ordinamento: insomma una
legge quadro (ovvero una cosa seria), così come da anni è richiesto al nostro
Paese delle istituzioni europee, che unisca le varie norme e aggravanti già
esistenti (da ultimo quella relativa al reato di negazionismo) e le renda più
facilmente applicabili da forze dell’ordine e magistratura. Soprattutto in
riferimento agli strumenti di diffusione e propaganda forniti dal Web, disponibili
alla ignara folla da ormai più di vent’anni (chiamarli ancora “nuovi media” è
davvero stantio). Sembrerebbe poco ma, tant’è, ancora non è stato fatto.
L’esiguo (leggi ridicolo) numero di casi ogni anno per i quali viene comminata
l’aggravante razziale in Italia sta qui a ricordarci che non basterebbe una
nuova legge, pur buona, a punire il razzismo.
In questa operazione di
adeguamento del nostro ordinamento, se intrapresa, si potrebbe a questo punto
inserire una specifica nuova – questa sì – con molta facilità, magari sul
modello della legge tedesca: un articolo (ripeto, nel contesto di una legge
quadro che unisca in modo uniforme il quadro legislativo esistente) che preveda
espressamente una multa/risarcimento da parte delle piattaforme (Facebook,
Twitter, ecc…) che ospitano contenuti illegali e non si dimostrino in grado di
ridurne l’efficacia e la cosiddetta viralità (ex-ante, con vari strumenti
algoritmici), di fornire le informazioni rispetto agli autori reali e di rimuoverli
(ex-post) una volta segnalati dagli utenti, dalle forze dell’ordine, dalle
vittime, dai portatori di interesse delle vittime ecc… Il tutto accompagnato,
quasi come un buon vino, da vere campagne di informazione (dello Stato) che
ricordino a tutti, ma veramente a tutti, che insultare, minacciare,
discriminare le persone sulla base del colore della pelle, del credo religioso,
di quello politico o dell’orientamento sessuale è già illegale. In Internet come
su bus. O che gioire per la morte di bambini innocenti nel mediterraneo, oltre
che illegale è disumano. Per iniziare a far arretrare (o perlomeno per
combattere ad armi pari) odio online, disinformazione e gogne mediatiche serve
certezza del diritto e che ogni organo dello Stato faccia la sua parte,
lasciando alla magistratura (e solo ad essa, mi raccomando) il suo compito. È
opportuno confidare davvero che la neonata commissione speciale dedicata a
contrastare razzismo, antisemitismo e intolleranza, che speriamo presieduta
dalla senatrice Segre, possa essere lo stimolo necessario (quello che mancava)
perché tutto ciò avvenga, finalmente. Fatto ciò resterà da fare, ancora,
praticamente tutto: rendere virale più dell’odio, nella vita come sul Web, il
bene.
L'articolo è tratto da Il Magazine, il nuovo inserto realizzato da Rassegna Sindacale insieme alla Filcams Cgil che prende il posto di Diario Terziario, rinnovato nella grafica e nei contenuti. Il numero di dicembre 2019 si può scaricare qui.
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