Marco Impagliazzo – storico e presidente della Comunità di Sant’Egidio – scrive in prefazione: “In questa stagione di policrisi dobbiamo anche fare i conti con un mutamento profondo nella generazione e nella gestione dei processi informativi, in un inedito rapporto con il continente digitale che si è rivelato terra dai contorni sfuggenti, difficili da mappare, vasta e insidiosa, ardua da esplorare e da colonizzare”. Questo libro di Roberto Bortone “si concentra sulla pericolosa saldatura che si attua on-line tra la tecnologia e gli umori grezzi della gente, tra la libertà d’espressione e quel mix complesso che abita il guazzabuglio che è il cuore umano (Manzoni). Nell’epoca della disintermediazione – afferma Bortone – il modello delle piattaforme on-line ha sconvolto la rete così come essa era stata ideata dai suoi padri fondatori indirizzando il tutto verso un punto di non ritorno, fino a rendere possibile una nuova categoria concettuale, quella della post-verità”. Attraversando i lati più dark del web, il volume si chiude offrendo soluzioni e risposte a chi non vuole rassegnarsi all’odio ed alla disinformazione.
lunedì 30 ottobre 2023
Roberto Bortone: Molto social troppo dark. Tra hate speech, propaganda, metaverso e intelligenza artificiale: i rischi del web oggi (Fefè Editore, Roma 2023)
Marco Impagliazzo – storico e presidente della Comunità di Sant’Egidio – scrive in prefazione: “In questa stagione di policrisi dobbiamo anche fare i conti con un mutamento profondo nella generazione e nella gestione dei processi informativi, in un inedito rapporto con il continente digitale che si è rivelato terra dai contorni sfuggenti, difficili da mappare, vasta e insidiosa, ardua da esplorare e da colonizzare”. Questo libro di Roberto Bortone “si concentra sulla pericolosa saldatura che si attua on-line tra la tecnologia e gli umori grezzi della gente, tra la libertà d’espressione e quel mix complesso che abita il guazzabuglio che è il cuore umano (Manzoni). Nell’epoca della disintermediazione – afferma Bortone – il modello delle piattaforme on-line ha sconvolto la rete così come essa era stata ideata dai suoi padri fondatori indirizzando il tutto verso un punto di non ritorno, fino a rendere possibile una nuova categoria concettuale, quella della post-verità”. Attraversando i lati più dark del web, il volume si chiude offrendo soluzioni e risposte a chi non vuole rassegnarsi all’odio ed alla disinformazione.
lunedì 11 gennaio 2021
Virtuale e reale, gli effetti sulla socialità della pandemia
Mentre il vaccino bussa alle nostre porte, ci troveremo presto di fronte alla scelta di vedere un amico in chat, su un webinar o dal vivo
La pandemia da covid-19 ha avuto effetti devastanti sull’economia di tutti i paesi colpiti. Le conseguenze, come è noto, non sono state le stesse per tutti. In Italia, secondo i dati dell’ISTAT - Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana, luglio 2020, tra dicembre e giugno, il numero degli occupati è sceso di 559 mila unità ed il numero di ore lavorate in media alla settimana è calato da 34,3 a 30,6, dopo essere sceso sotto le 23 ore nel corso delle settimane di lockdown.
Come era prevedibile, il calo dell’occupazione ha riguardato per tre quarti lavoratori dipendenti con contratto a termine. E secondo le stime della Banca d’Italia i redditi da lavoro ad aver subito un crollo sono stati proprio quelli delle famiglie che presentavano redditi già modesti, tra cui sono più frequenti gli occupati nei settori oggetto dei provvedimenti di limitazione dell’attività produttiva o in mansioni non effettuabili a distanza (cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale sul 2019, Roma, Banca d’Italia, 2020).
giovedì 1 ottobre 2020
Barriere sociali, gap digitali
Servono misure forti e urgenti per colmare alcuni ostacoli che oggi sembrano insormontabili. Altrimenti il mito della rete (e delle sue meraviglie democratiche) resterà soltanto un bello slogan
Come è stato scritto in più occasioni, anche tra le colonne
di questo Magazine, la pandemia da Covid-19 ha come disvelato molte delle
disuguaglianze insite nella nostra società. Questa volta, tuttavia, non ci soffermeremo
ad elencarle in modo “tradizionale”. Cercheremo, piuttosto, di analizzarle
attraverso un reagente molto particolare: il livello di accesso alla
trasformazione digitale da parte della popolazione, che vede il nostro Paese
fanalino di coda in Europa.
Partiamo da un dato generale: poche settimane fa la
Commissione Europea ha pubblicato i risultati dell’indice DESI 2020, uno studio
che misura il grado di digitalizzazione dell’economia degli stati membri
dell’UE. L’indice si basa su cinque componenti principali: connettività,
capitale umano, uso dei servizi Internet, integrazione delle tecnologie
digitali, servizi pubblici digitali. I dati, è bene ricordarlo, sono stati
rilevati prima dell’emergenza sanitaria, non tengono quindi conto del lockdown
e del potenziale “scatto in avanti” effettuato in quei mesi. Tuttavia, il nostro
Paese si collocava talmente agli ultimi posti, 25esimo su 28, perdendo
addirittura due posizioni rispetto al 2019, e riuscendo a fare meglio solo di
Romania, Grecia e Bulgaria, che la sostanza del nostro ragionamento non può
mutare.
venerdì 31 luglio 2020
Pandemia sociale, diseguaglianze e fragilità
La pandemia ha ampliato e amplificato le disuguaglianze sociali, le ha fatte emergere con più evidenza, assieme alle contraddizioni già presenti nella nostra società
In un altro mondo, in un tempo
che non esiste più, alcuni osservatori – tra cui l’ISTAT - raccontavano di un
Paese, il nostro, in cui la povertà assoluta stava, finalmente, diminuendo.
Dopo quattro anni di costante aumento si erano ridotte – per la prima volta –
il numero di quelle famiglie che non potevano permettersi le spese minime per
condurre una vita accettabile, 148 mila in meno rispetto al 2018, “pur
rimanendo su livelli molto superiori di a quelli precedenti la crisi del
2008-2009”.
Ma quella era l’Italia pre-Covid-19.
Oggi, a distanza di poche settimane dall’uscita di quei rapporti, tutto è
cambiato, completamente. Di crisi in crisi. E ancora non conosciamo nel dettaglio
i numeri e gli innumerevoli risvolti della “pandemia sociale” che si è
abbattuta in Italia – dovremmo dire prima di flagellare il resto mondo. Possiamo
però provare a tratteggiarne alcuni aspetti. A darci un quadro a tinte fosche
di quello che è accaduto e sta ancora avvenendo ci sono, dapprima, i numeri
relativi ai posti di lavoro persi. Secondo un rapporto presentato pochi
giorni fa dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)
l’impatto sul mercato del lavoro del Covid-19 è stato immediato. In pochi mesi
i pochi progressi fatti negli ultimi dieci anni sono stati spazzati via in
poche ore: nei 37 paesi OCSE il tasso di disoccupazione è passato dal 5,3% di
gennaio all’8,4% di maggio. Tra i paesi più colpiti c’è il nostro, che in soli
tre mesi ha perso 500mila posti di lavoro. A subire maggiormente gli effetti
del Covid-19 sono stati, ovviamente, i lavoratori meno garantiti: i precari
della gig-economy, i più vulnerabili a basso salario che non possono fare lo
smart-working, quelli autonomi e a tempo parziale, le donne (soprattutto le
donne) e i giovani: basti pensare che la disoccupazione giovanile è passata dall’11,2%
di febbraio al 17,6% di maggio.
lunedì 1 giugno 2020
Pandemia, razzismo e rabbia sociale. Serve un vaccino anche per l’odio
Questa storia comincia un martedì di inizio gennaio, il “giorno zero” in cui le autorità cinesi confermano di aver individuato un nuovo virus che, qualche settimana dopo, prenderà il nome ufficiale di Covid-19. Da quel momento la Cina diventa un osservato speciale a livello internazionale. Il mondo guarda – a volte distrattamente - le immagini di Wuhan, una città di undici milioni di abitanti che viene “chiusa” come fosse un paesino disabitato di montagna. La storia sta subendo una di quelle accelerazioni epocali ma nel mondo ci si sente ancora tutti (o quasi) “immuni”. Il virus non è un nostro problema, anzi il problema è sempre lo stesso, l’«altro». Le aggressioni verbali e fisiche nei confronti di persone la cui unica colpa è quella di avere sembianze orientali si susseguono a ritmo serrato in tutto il mondo, tanto da spingere il segretario generale delle Nazioni Unite a lanciare l’allarme: l’hate speech (l’odio online) sta rapidamente convogliando in uno “tsunami di odio” contro gruppi di persone accusate di aver in qualche modo diffuso (cinesi, asiatici, rifugiati ecc.) o contribuito a creare, il virus (musulmani ed ebrei soprattutto). L’Italia in questo scenario deprimente non fa da meno. Mentre si moltiplicano le richieste di chiudere le frontiere (e i porti ai profughi dalla Libia, che tanto a chiudere non si sbaglia mai…) a mettere a fuoco meglio il concetto ci pensa il governatore di una regione del nord che in una trasmissione televisiva, in diretta, afferma: “abbiamo visto tutti i cinesi mangiare topi vivi”.
Perché cercare altre spiegazioni? Perché interrompere gli aperitivi, operare il distanziamento e pensare a soluzioni differenti da quella per cui “è colpa loro basta chiudere le frontiere con la Cina, ogni attività economica ad essa legata e, possibilmente, rimpatriare qualche centinaia di migliaia di persone oltre la grande muraglia?”. Semplicemente perché non funziona, i giorni seguenti lo dimostreranno ampiamente (e tragicamente). In un mondo globalizzato il virus circola molto più velocemente dei tweet dei razzisti.
venerdì 29 maggio 2020
Se il lavoro si fa smart, ma anche no. Disuguaglianze e digital divide ai tempi della pandemia
sabato 29 febbraio 2020
Cyberstalking, revenge porn, doxxing, sexting… ma di che parliamo? L’odio online contro le donne è pericoloso perché “banale”
Alcuni studi disponibili suggeriscono che le donne sono colpite da forme “virtuali” di violenza in misura sproporzionata rispetto agli uomini. Tutto questo avviene mentre l’accesso libero ad Internet è ormai considerato una necessità per il raggiungimento del benessere economico e sempre più come un diritto fondamentale. Eppure, il dibattito sulla necessità di garantire che questo spazio pubblico digitale sia un luogo sicuro e di emancipazione per tutti, comprese le donne, appare scarso e poco documentato.
Al di là degli ambiti (politica, famiglia, mondo del lavoro) la violenza on-line contro le donne assume caratteri e fenomeni che appaiono tanto trasversali quanto poco conosciuti nei loro aspetti specifici. Tra di essi, il più noto, è certamente il cyberstalking. Lo stalking (dall’inglese to stalk, camminare in agguato), come è noto, comporta episodi ripetuti che minano il senso di sicurezza della vittima e provocano angoscia, paura o allarme. La versione cyber dello stalking contempla l’invio ripetuto nel tempo di e-mail, sms o messaggi istantanei offensivi o minacciosi, la pubblicazione di commenti offensivi su Internet e la condivisione di fotografie o video intimi su Internet o tramite telefono cellulare.