lunedì 11 gennaio 2021

Virtuale e reale, gli effetti sulla socialità della pandemia


Mentre il vaccino bussa alle nostre porte, ci troveremo presto di fronte alla scelta di vedere un amico in chat, su un webinar o dal vivo

La pandemia da covid-19 ha avuto effetti devastanti sull’economia di tutti i paesi colpiti. Le conseguenze, come è noto, non sono state le stesse per tutti. In Italia, secondo i dati dell’ISTAT - Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana, luglio 2020, tra dicembre e giugno, il numero degli occupati è sceso di 559 mila unità ed il numero di ore lavorate in media alla settimana è calato da 34,3 a 30,6, dopo essere sceso sotto le 23 ore nel corso delle settimane di lockdown.

Come era prevedibile, il calo dell’occupazione ha riguardato per tre quarti lavoratori dipendenti con contratto a termine. E secondo le stime della Banca d’Italia i redditi da lavoro ad aver subito un crollo sono stati proprio quelli delle famiglie che presentavano redditi già modesti, tra cui sono più frequenti gli occupati nei settori oggetto dei provvedimenti di limitazione dell’attività produttiva o in mansioni non effettuabili a distanza (cfr. Banca d’Italia, Relazione annuale sul 2019, Roma, Banca d’Italia, 2020).

Quelle che abbiamo appena tratteggiato sono certamente alcune delle conseguenze “visibili” della crisi economica causata dalla pandemia, in parte mitigate dalle misure governative e dagli aiuti distribuiti senza sosta dalla società civile. Vi sono, tuttavia, altri effetti, meno riconoscibili, più di lungo periodo, che stanno avendo un impatto altrettanto importante sulla nostra socialità e, più in generale, sulla tenuta della convivenza sociale. 

La pandemia non ci ha solamente impoveriti, ci ha anche spaventati, indeboliti e trasformati. Le relazioni lavorative e affettive sono passate – laddove è stato possibile - nello spazio digitale. Le “vecchie” e consuete modalità di aggregazione si sono arrestate nello spazio di poche ore. In alcuni casi la socialità si è addirittura interrotta di punto in bianco: emblematico resterà il caso della scuola che ha letteralmente “dimenticato” per alcuni mesi i suoi figli più fragili, quelli che non potevano accedere per scarsità di mezzi alla didattica a distanza. Altrettanto rappresentativo appare quanto è avvenuto nei luoghi di ricovero di una parte della nostra popolazione anziana, RSA e case di riposo, nei quali l’interruzione delle visite dei parenti e dei volontari ha causato danni profondi in termini di isolamento e solitudine, senza peraltro contribuire alla prevenzione della diffusione del virus da covid-19 (usiamo qui il presente perché in questi luoghi il lockdown delle comunicazioni è ancora in corso, nonostante le evidenze scientifiche lo considerino inutile e dannoso).

In sostanza ed in modo assolutamente mainstream, i lunghi mesi di separazione e distanza hanno modificato le abitudini e le modalità relazionali di ognuno di noi. La socialità - o la socievolezza per dirla con le parole di uno dei padri della sociologia, Georg Simmel - ha iniziato a perdere quelle qualità di tempo e di luogo che accomunano gli individui al di là degli scopi utilitaristici che ci si è posti (lavoro o studio) e in cui l’associarsi diviene un valore ed uno scopo in sé. Perché la socialità non è solo lo “stare insieme” quanto il significato che vi attribuiamo, la coscienza del nostro stare uniti.

In questo scenario in trasformazione è fuori di dubbio che taluni abbiano saputo monetizzare il bisogno e la ricerca pressante di mantenere contatti e socialità, anche in termini di esaltazione della propria individualità. È il caso di alcune big company tecnologiche, il cui valore ha conosciuto un vero e proprio boom (le azioni della nota software house Zoom sono tra quelle con il miglior risultato del 2020, con un guadagno del 600% da inizio anno) o di molti influencer nei social media, divenuti determinanti per veicolare messaggi o per mantenere vivi alcuni settori di business. 

L’estrema virtualità a cui siamo tutti ancora sottoposti è figlia, legittima, della paura ma anche di qualcos’altro. Esistono già i primi studi di psicologia sociale sugli effetti a medio e lungo termine di questa pandemia da Covid-19 e della lunga esposizione ai dispositivi digitali. Un sondaggio commissionato da Vision Direct su un campione di 2000 italiani ha evidenziato la presenza di picchi, tra gli adulti, di 17 ore consecutive di “schermo” su 24. 

Si va dal nuovo paradigma sociale del “niente sarà più come prima” al “tutto tornerà lo stesso” ma con un vantaggio acquisito in termini di digitalizzazione. Alcune indagini effettuano anche un’analisi storica e comparativa sulla base di quanto accade ai processi relazionali delle persone nei primi decenni del secolo scorso, dopo la pandemia da “spagnola”. George Bonanno, professore di psicologia clinica presso la Columbia University esegue regolarmente studi e ricerche sugli individui che si sono riprese da un trauma o da un lutto senza presentare sintomi duraturi. A suo parere gli effetti a lungo termine della pandemia da Covid-19 saranno più difficili da prevedere, poiché essa ha rappresentato più i caratteri di uno stress cronico che non quelli di un trauma improvviso: in quest’ottica, il riscorso alla virtualità non è solo di tipo strumentale ma assume il valore di un aggiustamento psicologico da cui sarà difficile liberarsi.

Vi sono anche visioni opposte, come quella di Lisa Barrett, neuroscienziata e psicologa presso la Northeastern University di Boston, secondo la quale anche se ricorderemo nitidamente la pandemia per decenni, i timori che l’hanno accompagnata in termini di prossimità nella socialità non dureranno a lungo. Non avremmo mai pensato ad un raduno di persone come a una situazione pericolosa, eppure ora abbiamo scoperto che una folla in cui ci sono persone senza la mascherina è pericolosa. Nonostante tutto questo, secondo la Barrett, quando il virus sarà sotto controllo, il nostro cervello si ricalibrerà tornando ad una percezione “normale” dei nostri rapporti sociali.

Il dibattito è appena iniziato. Per mesi la prossimità è stata presentata come un elemento di rischio estremo, auspicando e normando la “rarefazione” dei nostri rapporti sociali. Sappiamo pure che milioni di persone sono state di fatto escluse da ogni forma di virtualità. Ne abbiamo già parlato. Gli anziani, i più poveri e marginali della nostra società. Il tema di domani (e dopodomani) sarà quello del “ricucire”, del ritessere le nostre reti ordinarie di socialità (e solidarietà). De-virtualizzare i nostri incontri. Mentre il vaccino bussa alle nostre porte e si avvicina il tempo della ripartenza, ci troveremo presto di fronte alla scelta di vedere un amico in chat, su un webinar o dal vivo. La tentazione di pensare che, tutto sommato, sia la stessa cosa si affaccerà prepotentemente nel nostro cervello. Se cederemo “la grande lezione della pandemia verrà accantonata”, come ha scritto recentemente Andrea Riccardi. Quale è la lezione da non perdere? Che siamo tutti sulla stessa barca e che questa operazione di risocializzazione dovrà necessariamente partire dagli ultimi, dagli esclusi. La recente circolare emanata dal Ministro della Salute che obbliga le strutture per anziani a permettere le visite di parenti e amici in sicurezza, va proprio in questa direzione, riconoscendo (di nuovo) il nostro bisogno fondamentale di socialità: il valore inestimabile di un abbraccio.

L'articolo è tratto dal numero di dicembre 2020 di Magazine, il mensile della CGIL Filcams realizzato insieme a Collettiva.

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