domenica 29 dicembre 2019

Muri reali, muri digitali

Per le generazioni che vengono dopo, ogni separazione del passato appare insensata. Ma ciò non vale se si creano barriere virtuali e mentali che possono sopravvivere e avere conseguenze nefaste nel lungo corso della storia.

Certamente per ogni muro che cadrà altri se ne costruiranno. Oppure si lavorerà di più e meglio nel tentativo di bloccare ogni possibile corridoio di ingresso, sia esso via mare o via terra. Come se le migrazioni fossero delle fastidiose perdite di acqua da tappare. Non si può dividere il cielo, è il titolo di un bellissimo libro di Gianluca Falanga che racconta la vita del muro di Berlino a partire dalle storie di chi lo ha subito. Perché senza le vite spezzate di Conard, Ida o Olga, morti nel tentativo di attraversarlo, quel muro nella nostra memoria non esisterebbe più.

In un altro continente, due bambini Guineani, Yaguine Koita e Fodé Tounkara si erano convinti che il cielo, senza barriere, li avrebbe portati in Europa dall’Africa. Furono ritrovati morti assiderati, il 29 luglio 1999, nascosti nel carrello di un aereo che, partito da Conakry, capitale della Guinea, atterrò a Bruxelles, in Belgio. Con loro avevano una lettera, scritta in francese, che venne pubblicata dai media di tutto il mondo. Non sapevano che quel cielo, reso freddo e gelido dall'indifferenza dei ricchi europei, li avrebbe uccisi.
Scrivevano: “Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell'Europa, abbiamo l'onorevole piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi dello scopo del nostro viaggio e della sofferenza di noi bambini e giovani dell'Africa. Ma prima di tutto, vi presentiamo i nostri saluti più squisiti, adorabili e rispettosi. A tale fine, siate il nostro sostegno e il nostro aiuto, siatelo per noi in Africa, voi ai quali bisogna chiedere soccorso: ve ne supplichiamo per l'amore del vostro bel continente, per il vostro sentimento verso i vostri popoli, le vostre famiglie e soprattutto per l'amore per i vostri figli che voi amate come la vita. Inoltre per l'amore e la timidezza del nostro creatore "Dio" onnipotente che vi ha dato tutte le buone esperienze, la ricchezza e il potere per costruire e organizzare bene il vostro continente e farlo diventare il più bello e ammirevole tra gli altri. Signori membri e responsabili dell'Europa, è alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti (…)” (la lettera integrale è visibile qui)

E neppure il mare si può dividere, verrebbe da dire. Eppure Moussa, come decine di migliaia di altre persone è morto nel tentativo di attraversarlo. Moussa era un ragazzo, partito nel 2017 dal Mali con un suo amico, morto annegato durante la traversata del Mediterraneo. Scrisse una lettera per cercare di incarnare i pensieri del compagno scomparso, rivolgendosi alla sua famiglia e a noi: “Mi dispiace mamma, perché la barca è affondata e non sono riuscito ad arrivare in Europa. Mi dispiace mamma, perché non sono riuscito a saldare i debiti che avevo fatto per pagare il viaggio. Non rattristarti, mamma, se non trovano il mio corpo. Cosa potrebbe mai offrirti se non il peso delle spese di rimpatrio e di sepoltura? Mi dispiace, mamma, se si è scatenata questa guerra ed io, insieme a tanti altri uomini, sono dovuto partire. Eppure i miei sogni non erano grandi quanto quelli degli altri… Tu lo sai, i miei sogni erano grandi quanto le medicine per il tuo colon e le spese per i tuoi denti (A proposito, i miei denti sono diventati verdi per via delle alghe ma restano sempre più belli di quelli del Dittatore!) Mi dispiace fratello mio, perché non posso inviarti i 50euro che avevo promesso di inviarti ogni mese per farti divertire un po’ prima della laurea. Mi dispiace sorella mia, perché non potrò più inviarti il cellulare con l’opzione wi-fi, come quello delle tue amiche ricche. Mi dispiace, sommozzatori e soccorritori che cercate i naufraghi perché io non conosco il nome del mare in cui sono finito. E voi dell’Ufficio Rifugiati, invece, non preoccupatevi, perché io non sarò mai una croce per voi. Ti ringrazio, mare, perché ci hai accolto senza visto né passaporto. Vi ringrazio, pesci, che dividete il mio corpo senza chiedermi di che religione io sia e quale sia la mia affiliazione politica. Ringrazio i mezzi di comunicazione, che trasmetteranno la notizia della nostra morte per cinque minuti, ogni ora, per un paio di giorni almeno. Ringrazio tutti voi, che diventerete tristi nel sentire questa tragica notizia. Mi dispiace, se sono affondato in mare”. (la lettera integrale è visibile qui).

Lo abbiamo già detto, i muri vivono nelle storie di chi li ha attraversati. Aiutano chi sta “al di qua” a  sentirsi protetto, almeno per un po’. E rallentano per qualche decade (giusto il tempo di una generazione) quel processo darwiniano di evoluzione e sopravvivenza che dura da, almeno, un milione e mezzo di anni... Per le generazioni che vengono dopo il muro, ogni muro, già non ha più senso. A meno che, costantemente, non si costruiscano - insieme a quelli fisici - muri digitali, virtuali, mentali, muri nei cuori. Questi si, possono sopravvivere di generazione in generazione ed avere conseguenze nefaste nel lungo corso della storia.

L'articolo è tratto da Il Magazine, il nuovo inserto realizzato da Rassegna Sindacale insieme alla Filcams Cgil che prende il posto di Diario Terziario, rinnovato nella grafica e nei contenuti. Il numero di dicembre 2019 si può scaricare qui.

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