sabato 9 novembre 2019

Muri reali, muri virtuali. Tutti, prima o poi, crollano. Trent’anni fa cadeva quello di Berlino

La notte tra il 12 ed il 13 agosto del 1961 decine di migliaia di soldati e membri di formazioni paramilitari vengono messi in movimento da ogni angolo della Deutsche Demokratische Republik, il Governo comunista della Germania Est, e concentrati a Berlino. È l’operazione “Rose”: a più di dieci anni dalla divisione in due blocchi del suolo tedesco ha inizio l’edificazione di un sistema di fortificazione di cemento e filo spinato che separa fisicamente la città, dividendola in due. 

La prima domanda, allora, è: perché? Perché ad un certo punto della storia, nel cuore della civile Europa, si sente l’esigenza di costruire un muro? Ogni anno, circa 150.000 persone, approfittando di una frontiera – ancora virtuale – tra Est e Ovest, decidevano di abbandonare il socialismo reale, al costo di un biglietto della metro, per sempre. Nel giro di una decina d’anni dalla sua fondazione lo stato comunista era già al collasso, avendo perso quasi tre milioni di abitanti, soprattutto giovani professionalmente qualificati, fuggiti in cerca di un futuro migliore. Ecco perché venne costruito. Probabilmente per lo stesso motivo, l’8 novembre del 1989 – quasi inaspettatamente – quel muro che sembrava invincibile, cadde. In città oggi ne rimangono alcune tracce visibili, ma il ricordo di quel muro sopravvive nei negozi di souvenir e nelle storie raccontate (e filmate) di chi lo ha attraversato o semplicemente vissuto. I muri si costruiscono e cadono per lo stesso identico motivo, perché le persone vogliono muoversi o sono costrette a farlo.

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