Stiamo vivendo un periodo di
emergenza nel quale tanti elementi costitutivi della rivoluzione digitale hanno
disvelato in pochi giorni – talvolta in poche ore - il loro potenziale ancora
sopito. I sistemi di videoconferenza usati dalle grandi aziende sono entrati
nelle case di – quasi – ogni italiano. Tutto sembra essersi spostato online,
musei, conferenze, presentazioni di libri, spettacoli per bambini. Anche la
televisione. L’accelerazione tecnologica di questi mesi si è resa necessaria,
indispensabile, almeno per due motivi: nella fase-1, in piena pandemia, per consentire
un lockdown totale e bloccare la diffusione del contagio da covid-19;
nella fase-2 per rendere funzionale il suo contenimento. La corsa alla
digitalizzazione, nella sua folle traiettoria ha spesso preso strade inaspettate
e oggi risulta più chiaro quello che scriveva, qualche anno fa, il sociologo
dei media Gert Lovink: “Una volta era
Internet a cambiare il mondo. Oggi è il mondo a cambiare Internet”[1].
L’esigenza di continuare a comunicare,
socializzare, produrre e studiare - “al tempo del coronavirus” - ha prepotentemente
riadattato e trasformato strumenti pensati per altro. Soprattutto nel mondo del
lavoro.